La vita dei bambini di una volta era diversa da quella odierna, erano molto liberi ma difficilmente si spostavano dal loro “quartiere”. La zona dove vi trovate ora si chiama da sempre “Ol purtù”, fin da quando in epoche molto lontane qui si poteva accedere al centro paese attraversando una delle 4 porte principali. Era un portone molto grande, per questo identificato come Purtù, portone appunto.
Del portone non rimangono più tracce, così come delle altre porte, ma attraverso la voce di Rosetta potrete rivivere l’atmosfera giocosa che si respirava in queste strade e sui pendii del “Castel” qui di fronte, quello che oggi viene chiamato Monte Polenta.
Noi eravamo “quelli di là del Purtù”, dalla parte dei campi, non del centro Paese. Eravamo un gruppo di ragazzi e bambini di tutte le età che si prendevano cura l’uno dell’altro, nel tempo libero, mentre si giocava. Giocavamo ovunque: per strada, nei cortili, nei prati, persino nelle stalle. Il “terasù”, un terrapieno davanti a una fila di case tutte addossate una all’altra, era il nostro mondo. Ricordo le partite a “cicai” (le biglie) in buche scavate nel terreno battuto, il gioco della “lépa”, il “cip”, le corse nei prati per scavalcare i mucchi di fieno, la caccia ai maggiolini per sentirli ronzare chiusi in una scatola di latta, la ricerca delle lucciole per afferrarle con le mani… E poi il “Castel”, il nostro parco giochi naturale. In inverno diventava una perfetta pista, un formicaio di bambini che si divertivano sulla neve con slitte e mezzi di fortuna (gli sci erano un lusso!). Ricordo le scalate primaverili fino alla cima alla ricerca di fiori, lungo il sentiero che oggi si è trasformato in comoda stradina illuminata. Che dire poi delle incursioni in proprietà private per “rubare” frutti (anche se ancora acerbi) e le scorpacciate di gambi di acetosella (“griöla”) o di rametti di mora opportunamente pelati… In realtà il vero Castel sarebbe la zona dove c’è il Resort Collina, perché era la zona del primo insediamento fortificato preistorico.
Subito a ridosso delle case, sulla strada per il cimitero, c’era la discarica dove il “Merla” rovesciava i pochi rifiuti che trasportava dal paese con una grossa carriola di legno. I ragazzi rovistavano nel mucchio in cerca di oggetti di metallo da rivendere al “Murèt” per raggranellare qualche lira oppure da fondere in una scatoletta di latta su un focherello improvvisato per creare piastrine con cui giocare.
In autunno, invece, sotto i portici delle stalle si “sfogliava” il mais mentre i nonni raccontavano vecchie storie di paura. Erano giorni semplici, con poco, ma pieni di vita!
“Archivio Fotografico Cesare Cristilli. MAT – Museo Arte Tempo Città di Clusone”