Tra le vie meno battute di Clusone, c’erano un tempo luoghi oggi scomparsi, ma all’epoca fondamentali per la vita del Paese: le antiche concerie, i negozi di scarpe, il mulino. Oggi non ne resta traccia, se non nei ricordi di chi li ha vissuti o ne ha ascoltato i racconti. Il racconto che ascolterete ci porta in un angolo quasi dimenticato di Clusone, la zona di via Clì a la strada che porta verso Villa d’Ogna. Tra mestieri antichi, giochi d’acqua e piccole fughe infantili, un viaggio nella memoria, dove anche ciò che non si vede più può ancora farsi sentire.
La zona delle concerie, nei primi anni del ‘900, non era certo il posto preferito dai ragazzi. Anzi, era probabilmente il più evitato. Lì si concentrava uno dei mestieri più antichi e faticosi del paese: la lavorazione delle pelli. C’erano grandi vasche piene d’acqua dove si pulivano e si trattavano le pelli di mucca, di cavallo, di pecora. L’odore era forte, pungente — talmente tanto che bastava arrivare in fondo alla strada per sentirlo. Le pelli venivano pulite con cura, liberate dal grasso, poi stese al sole a far seccare, e infine venivano lavorate per diventare oggetti utili, soprattutto scarpe, che duravano una vita e venivano vendute nei negozi vicini. Era un lavoro che affonda le sue radici nel Medioevo, e a Clusone era proseguito, senza mai cambiare il metodo di lavorazione, fino agli anni Quaranta. Quando le concerie hanno chiuso, alcune famiglie hanno continuato a lavorare le pelli in casa. L’ultima vasca rimasta è stata purtroppo trasformata negli anni 60 in un garage, lì vicino c’era anche un mattatoio che faceva parte della stessa catena di lavoro, di cui ora resta solo uno sbiadito ricordo. A pensarci oggi, sembra incredibile che proprio lì, dove ora stanno le automobili, una volta si sentisse l’odore del cuoio fresco e della fatica di un mestiere antico.
Subito dopo il Piazzale del Sole, c’era un piccolo mulino, l’unico in tutta la zona di Clusone. Lo chiamavano “ol pestù de la rosca”. Non era un mulino come gli altri: era un piccolo frantoio che serviva per schiacciare la corteccia degli alberi, da cui si estraeva il tannino, una sostanza indispensabile per la concia delle pelli, per renderle più morbide e resistenti.
Poco più in là, sempre dopo il piazzale, scorreva la Seraia. Un piccolo corso d’acqua che riforniva il lavatoio e le vasche delle concerie. Ma d’estate, diventava tutta un’altra cosa: una piscina naturale per noi ragazzi. Bastava mettere insieme qualche sasso, costruire una piccola diga con l’ingegno che solo i bambini hanno, e l’acqua si alzava abbastanza da potercisi tuffare dentro. Certo, c’era un problema, l’acqua, una volta bloccata, non arrivava più pulita come prima alle concerie e al lavatoio, e il vigile del paese, un uomo severo e puntiglioso, non perdeva occasione per salire su di corsa e sgridarci. Ci vedeva già da lontano e noi, appena lo scorgevamo, correvamo via, con l’acqua ancora gocciolante e il cuore che batteva forte.
Ma in fondo era tutto parte del gioco. Di un tempo fatto di odori forti, di mestieri antichi, di piccoli furti d’estate e di avventure inventate tra i sassi e le cortecce. Un tempo che non torna, ma che resta inciso nella memoria come una pelle lavorata a mano: resistente, viva, unica.
“Archivio Fotografico Cesare Cristilli. MAT – Museo Arte Tempo Città di Clusone”