Negli anni ’50, quando si diceva “si va all’Esà” (viene da Vezza, cioè serbatoio d’acqua) si intendeva andare al lavatoio in Piazza della Rocca, alimentato dall’acqua che scendeva dalla Seraia e un poco dalla Val Nember. Era un luogo di fatica, ma anche di condivisione e legami sinceri tra donne e bambine, eccone alcuni ricordi.
La piazza era molto diversa da come la vediamo oggi, c’era il grande lavatoio, molte piante di Ippocastano (le cui castagne Genge venivano scavate e fatte diventare piccole pipe) e non c’era ancora la fontana, costruita dopo la demolizione delle vasche del lavatoio negli anni ‘70. Intorno c’erano molti negozi: chi vendeva maiali, chi scarpe, poco più in là l’osteria della “Mazzocchi”. Tantissimi anni fa si trovava addirittura un noleggio calessi perché non c’erano ancora le macchine.
Da bambina, quando avevo 11 anni, ricordo quando insaponavo il bucato a casa, in via Clì, appoggiandolo sulla “cavra” (un cavalletto di legno), andavo a prendere l’acqua calda dal fornaio e poi mi incamminavo verso il lavatoio con i panni raccolti in “sedei” (secchielli di latta) più grandi di me. Mi mettevo davanti a una delle otto vasche del lavatoio e, con i geloni sulle mani, sciacquavo tutto il bucato. Poi si andavano a stendere i panni nei prati circostanti, sul fondo della valle e si tornava di notte con i pentolini per “cura i pagn” ribagnarli perché conoscenza popolare dice che sia la luce della luna piena a candeggiare il bucato.
Negli anni ’30, invece, due volte l’anno – in primavera e a settembre – si faceva la “bugada”, cioè il bucato grosso, si lavava tutta la biancheria pesante di casa (lenzuola, federe, soprattutto di canapa o cotone grezzo). Per chi abitava fuori paese si faceva nei cortili, mentre gli abitanti del centro storico si ritrovavano tutti al lavatoio. La procedura era lunga e faticosa. Si utilizzavano grossi mastelli, che si prestavano da una famiglia all’altra del vicinato, in cui si adagiava ben piegata la biancheria che veniva spolverata con un sapone chiamato “lusia felice” e poi bagnata con acqua bollente. L’ultimo strato era ricoperto con la cenere del caminetto. A volte capitava che, una volta intiepidita l’acqua, le donne entrassero nel mastello pigiando con i piedi i tessuti. La cosa più bella era la cooperazione di tutte le donne.
Piazza della Rocca è stata anche per molto la “Piazza del mercato delle bestie” perché qui era dove si fermavano i pastori diretti verso gli alpeggi per dormire e riposarsi durante la transumanza. Dove ora ci sono i portici di pietra, davanti ai parcheggi, c’erano gli abbeveratoi delle mucche sono ancora visibili alcuni anelli molto grossi di ferro che servivano per attaccare le mucche e non rischiare che scappassero.
La domenica pomeriggio dopo le funzioni religiose, nella piazza si giocava invece al gioco della “bala”, una sorta di tamburello con le mani, usando una grossa e pesante palla di pezza o di cuoio. Solo gli uomini giocavano, divisi in due squadre a seconda del quartiere di residenza, quelli di piazza Uccelli contro quelli di piazza Orologio. Le donne, nel frattempo, si affrettavano a chiudere tutte le ante delle finestre per salvare i vetri!
“Archivio Fotografico Cesare Cristilli. MAT – Museo Arte Tempo Città di Clusone”